Ecommerce, solo il 4% delle imprese italiane vende online
Clienti e fatturato aumentano, ma le imprese italiane non colgono l’occasione. Le proposte di Netcomm per spingere il commercio elettronico
Il dato di partenza è in effetti sconfortante: solo il 4% delle imprese italiane vende i propri beni e servizi online. In realtà l’e-commerce è sempre di più un’abitudine d’acquisto quotidiana, se è vero – come raccontano i numeri del Politecnico di Milano – che l’anno scorso il fatturato è stato di 13,3 miliardi di euro e i clienti digitali sono balzati da 9 a 16 milioni.
Di scenario e prospettive si è parlato pochi giorni fa nel corso di un evento organizzato da Netcomm, il consorzio del commercio elettronico, alla Camera dei deputati al quale hanno partecipato rappresentanti di big player come Amazon, eBay, Google e Qvc e operatori italiani come Banzai, Fratelli Carli e Lovethesign. La crescita del comparto è stata del 17% considerando le vendite da siti italiani a consumatori nostrani e stranieri e del 16% per gli acquisti dei clienti italiani da portali tricolori e internazionali, per un valore di 14,6 miliardi di euro.
Insomma, nonostante moltissime piccole e medie imprese che potrebbero avvantaggiarsi di una distribuzione in rete rimangano ferme, il valore dell’e-commerce è passato dal 2,6 al 3,5% del totale delle vendite al dettaglio. Con un buon salto in alcuni settori come editoria (dal 4 al 7%), informatica (dal 7,5 al 10,5%) e l’abbigliamento (dal 2,9 al 4%).
“L’Italia – ha detto Roberto Liscia, presidente Netcomm – è conosciuta nel mondo per i suoi prodotti di abbigliamento, calzature, accessori, moda, arredo, design, vino e prodotti alimentari-gastronomici di qualità. Tutte le piccole e medie imprese italiane che producono e commercializzano questo tipo di prodotti hanno degli spazi di mercato straordinari, tecnicamente stiamo parlando di una platea di oltre un miliardo di consumatoriche abitualmente compra online e di 2,6 miliardi di individui che sono su internet. Ma stiamo perdendo competitività a livello globale e non riusciamo a sfruttare il potenziale del made in Italy che potrebbe trovare più facilmente sbocchi su questi mercati”.
Oltre tutto, quella digitale è una tipologia d’acquisto sempre più mobile: le vendite via smartphone hanno fatto segnare nel 2014 un incremento del 100% superando gli 1,2 miliardi di euro, pari al 9% del settore. Se si aggiungono quelle via tablet, l’incidenza delle vendite da dispositivi mobili raggiunge il 20% del totale.
“L’e-commerce è una grande opportunità per il nostro Paese – ha detto Edoardo Giorgetti, Ceo di Banzai da poco quotata in Borsa – oggi il commercio elettronico è poco più del 2% del commercio totale mentre in Francia e in Germania va verso il 10%, già superato da Uk e Usa. Fonti autorevoli proiettano tassi di crescita a doppia cifra per gli anni a venire, tassi che potrebbero persino accelerare grazie alla connettività mobile e altri driver. È un elemento di positività non solo per gli operatori del settore ma per l’intera economia Italiana, che può contare sulla nostra industry come elemento per costruire il rilancio economico e anche culturale, perché l’e-commerce è uno dei segnali del cambio di paradigma che in altri Paesi è già avvenuto”.
Una spinta che arriva in questo momento soprattutto dai giganti: “Il 43% delle unità vendute in tutto il mondo da Amazon proviene da venditori terzi e sono già decine di migliaia le piccole e medie imprese e i venditori italiani che hanno iniziato a beneficiare del Marketplace Amazon – ha detto Martin Angioni, presidente e amministratore delegato del gigante di Jeff Bezos in Italia – infatti nel 2014, i venditori che hanno utilizzano la nostra piattaforma sono cresciuti del 52%, oltre il 50% di questi vende su almeno un sito straniero di Amazon, inclusi Stati Uniti e Giappone, raggiungendo con pochi clic milioni di clienti di tutto il mondo”.
Quali, però, i passi da fare per favorire la presenza in rete del tessuto produttivo italiano? Lo raccontano alcune indicazioni raccolte da Netcomm nel lavoro realizzato con gli studi Cbm & partners studio legale, CleverAdvice e Taxmen.eu. Si tratta di proposte molto dettagliate. Si va dalla reimportazione dei prodotti resi in regime d’esenzione dai dazi doganali e dall’Iva all’allineamento della certificazione fiscale tra operatori economici che vendono prodotti per corrispondenza in rete (commercio elettronico indiretto) e operatori che vendono servizi digitali in rete (commercio elettronico diretto) passando per l’approvazione di norme condivise in materia di tassazione del digitale a livello europeo fino alla spinta verso una maggiore sicurezza dei pagamenti online.
via: wired.it